Intervista a Zatac - La cura: quando la violenza diventa invisibile
di Elisa Tommasoni
L'artista Tiziano Zatacchetto in arte ZATAC, nato a Verona è fotografo creativo e video Maker. Cura e realizza progetti d'immagine per aziende e nel settore della moda da oltre vent'anni. Lo abbiamo intervistato in occasione della mostra tenutasi presso il Creative Lab di Mantova.

1. Per cominciare a conoscerti vorrei chiederti qual è stata la tua prima folgorazione artistica?
Fin da bambino sono stato attratto dalla luce. Ho un ricordo ben preciso di quanto ero molto piccolo e osservavo le foglie delle viti e le vedevo cambiare colore, ciò che mi colpiva erano le varie sfumature dei verdi da quello più chiaro esposto al sole a quello scuro in penombra tra le foglie. Era bello osservare il loro movimento casuale che il vento faceva su di loro. Questo imprinting mi è rimasto dentro per mie successive ricerche artistiche.
2.Oltre all' attività di fotografo per aziende esponi le tue opere frutto di una sensibile ed originale ricerca artistica. Recentemente hai presentato la mostra fotografica La Cura- Mia – quando la violenza si rende invisibile- presso il Creative Lab di Mantova (quartiere Lunetta). Il tema è violenza subita dalle donne per mano degli uomini. Senza dubbio colpisce l'originalità dell'approccio nel presentare un tema così delicato perché le donne non sono presentate con volti sfregiati, come siamo abituati a vedere in occasioni quali il 25 novembre e simili, come sei arrivato a ideare questo progetto?
La mostra è stata concepita per la prima volta nel 2020, quando fu patrocinata dall'U.L.S.S. 9 Scaligera, subito esposi la mia idea ai committenti di non mostrare donne con ematomi e altri segni di violenza, già troppa violenza ci circonda ed era mia intenzione non rappresentarla ulteriormente. Per questo motivo ho voluto donne serene che si mostrano per quello che sono e guardano dritto negli occhi lo spettatore. La violenza è stata espressa con l'alterazione della carta su cui sono stampate le foto. Questa scelta nasce in primis perché da fotografo la carta è per me il materiale più naturale su cui intervenire per trasmettere un messaggio. Ho volutamente utilizzato carta non pregiata, che di seguito ha subito strappi, tagli, stropicciature, buchi.
3.Così facendo ti sei immedesimato nell'atto violento perpetrato dagli uomini?
Certamente durante questo processo di creazione mi sono messo dalla parte del violentatore e le donne sono la carta. Non mostrando in maniera realistica la violenza fisica, come ormai siamo abituati da anni in occasione di ricorrenze come il 25 novembre, ho voluto far riflettere lo spettatore sul gesto, quel gesto che porta a colpire le donne messo in atto da uomini incapaci di vivere una relazione sana.
4.Dunque, per te è stata centrale l'importanza di trasferire il messaggio.
Direi di sì, l'intento è stato proprio quello di comunicare il gesto in maniera semplice e fruibile, anche ai più giovani. Nel corso di questi anni, mi sono trovato ad illustrare il mio lavoro a molte scolaresche e ho potuto constatare che questa forma nuova di rappresentare la violenza può raggiungere la sensibilità anche degli spettatori più giovani e questo è stato molto importante per me.
5.Puoi spiegare meglio alcune connessioni tra il titolo e la fotografia?
Ogni alterazione della carta ha un preciso significato che viene trasmesso dal titolo. Per esempio, nella fotografia Oltre l'alterazione è un buco nell'occhio, è come aver dato un pugno a quella fotografia e a quella donna. In Zitta vediamo uno strappo all'altezza della bocca. Tramite la rappresentazione fisica di questi gesti ognuno può sentire un grado di dolore diverso.
Mentre nella fotografia Donna in scatola, vengono messi in luce i limiti delle donne che si trovano vittime di violenza psicologica e fisica, spesso non possono, non hanno gli strumenti per scappare da queste situazioni, non c'è via di fuga per loro.
6.A un certo punto percorrendo la mostra ci troviamo a calpestare letteralmente delle fotografie di donne, dal titolo eloquente Calpestate, altra scelta molto originale.
Oltre al rimando alla violenza domestica che può subire una donna con questa fotografia ho voluto trasmettere il messaggio che le donne spesso vengono calpestate in molti processi durante lo loro vita, per esempio l'ascesa sociale e diritti lavorativi ancora molto diseguali se confrontati a quelli degli uomini. È anche un'esortazione a "stare attenti a dove mettiamo i piedi", nel senso di fare attenzione a non ferire anche con parole e piccoli gesti.
7.Rispetto alle altre edizioni c'è stata un'evoluzione dell'esposizione, si tratta della voce narrante (fruibile tramite QR CODE posto a lato dell'opera), che personalmente mi ha fatto entrare meglio in sintonia con la storia che c'è dietro ogni fotografia. Come sei arrivato a questa scelta?
È nata dall'esigenza di trasmettere e spiegare meglio il messaggio della mostra, far comprendere meglio la peculiarità di quella specifica violenza. Ogni fotografia è diventata la storia di quella donna con le sue fragilità e i suoi punti di forza.
8.Molto originale è anche la scelta dell'ultima sezione della mostra…
Nell'ultima sezione della mostra ho voluto posizionare sul pavimento la fotografia del manifesto, in parte viene lasciato un pennarello, con cui i visitatori giunti alla fine del percorso, chinandosi possono firmarla; è un atto simbolico per sancire la presa di consapevolezza di ognuno del problema.
9.Infine, ci puoi spiegare la scelta del titolo?
Il titolo -La Cura- sta a significare che il problema c'è e bisogna risolverlo alla radice, saper vedere dove nasce. Per questo è fondamentale trasmettere il messaggio anche a giovanissimi, la mostra senza pretese di redenzione può far scattare qualcosa, può far riflettere. Le donne non devono aver paura a denunciare e gli uomini non devono temere a mostrare le loro fragilità. In un'occasione (in una delle precedenti esposizioni) mi è stato chiesto chi mi avesse suggerito l'idea e l'impostazione, come se un uomo non potesse concepire un'idea simile per trasmettere la violenza sulle donne; ma la sensibilità non ha genere, io da uomo sono sensibile e posso comprendere le donne nella loro sofferenza. Mi auguro che la mostra possa essere un seme nel lungo percorso dell'eliminazione della violenza sulle donne.
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