Il clown del Cafe de Flores
Si sa! I clown fan ridere i bambini perché si esprimono con un linguaggio colorato e mimico che da vita alla loro innata fantasia: li irridono bonariamente e ne conquistano i sorrisi disegnando spazi caricaturali e dissacranti. Ed è pur vero, tuttavia, che agli adulti spesso rievochino istanti spensierati ma assopiti che sfumano offuscati dalla malinconia velata dello sguardo, intravisto tra sgargianti strisce variopinte e deformanti. Ma gli occhi non mentono e la sensibilità dei bimbi è proverbiale! Sicchè in quell'abbaglio, gli attempati, proiettano rimpianti e le speranze infrante dell'inconscio che ha memoria antica e primordiale soffocata. Non sempre questo è vero, per fortuna: talvolta accade che i clown si volgano anche ai grandi, avvertendone l'affinità di leggerezza. E questo è proprio il caso della donna avvenente del Cafe de Flores: era solita immergersi nelle atmosfere festaiole della sera ma prediligeva starsene un po' in disparte per osservare e riflettere sui fiumi dei viandanti tra le vie, sorseggiando un buon rosso fruttato e passionale. Aldilà del suo fascino naturale e del garbato stile, quella donna gli appariva, in verità, noncurante di forme, di pose e di sembianze. Fu l'unica che il clown notò tra tante appariscenti e provocanti e le sorrise lieve porgendole nell'inchino un fiore col guanto bianco della mano. Non chiedeva soldi ma solo un tenero sorriso. Lei gli annuì col capo gradendo quella galanteria così retrò che risuonò spontanea e disinteressata. Guardandolo da vicino ella scorse la luce riservata dei suoi occhi, difesi da rassicurati lustrini e papillon. E come solo poche volte accade nella vita, fu questione di istanti d'infinito che gli sovvenne un sol sobbalzo ed un quesito: ciao, come ti chiami? Dove sei stato sino ad oggi? . E così fu...
Giampiero Murgia