Alberto Sughi: il realismo e l’umanità smarrita

19.09.2024

di Francesca Callipari

Romagnolo, autodidatta, Alberto Sughi (Cesena, 1928 - Bologna, 2012) è un artista che ha lasciato un segno indelebile nella storia dell'arte contemporanea. Appartenente a quella generazione che debutta negli anni del dopoguerra, nel corso del dibattito tra Realismo e Astrattismo, decide di immortalare la realtà, non tanto quella esteriore della società in cui vive bensì quella celata, visibile solo a chi come lui è in grado di scrutare in profondità l'animo umano.

"Attraverso la pittura ho cercato di capire meglio qualcosa che appartiene alla mia coscienza: l'inquietudine, l'amore, l'ansia di verità, la delusione e la solitudine".

Così afferma l'artista, nel 2011 in occasione della 54ma Biennale di Venezia, riassumendo in qualche modo le grandi tematiche esistenziali della sua ricerca. Sin dai primi anni si dedica, infatti, alla raffigurazione di scene di vita quotidiana, attraverso un linguaggio che viene definito dallo storico e critico d'arte Enrico Crispolti "realismo esistenziale".

Figure solitarie con lo sguardo perso nel vuoto, immerse in caffè o periferie di grandi città, diventano i soggetti principali dei suoi lavori, testimonianze di un malessere dell'umanità, di una malinconia che l'artista documenta, senza giudicare, restituendo quella che è la cruda realtà della società che Bauman definisce "liquida", nella quale l'uomo è colto nella sua precarietà, nella totale perdita di punti di riferimento. Tacite attese, tra sigarette, drink e partite a carte scorrono di fronte ai nostri occhi come fotogrammi cinematografici, riflettendo quel "male di vivere" di montaliana memoria che accomuna cose ed esseri viventi, indicando una disarmonia diffusa capace di far sfuggire il senso dell'esistenza. Ciò nonostante, il fine di Sughi non è quello "di commuovere, ma piuttosto quello di rappresentare". Nelle sue figure "alienate", tra solitudine, indifferenza e incomunicabilità, l'artista lascia all'osservatore una libera lettura, senza incoraggiare una determinata sensazione.

La prima personale risale al 1956 a Roma e nello stesso anno tre suoi lavori vengono esposti alla 28ma Biennale di Venezia. Due anni dopo, espone a Milano e poi nuovamente nella Capitale. Stilisticamente i suoi dipinti convergono verso toni più cupi. Dagli echi del verismo ottocentesco, a cui spesso la critica lo avvicina, le pennellate di Sughi si espanderanno, riuscendo attraverso pochi tratti a dar vita alle immagini che egli vuol raffigurare. Soprattutto a partire dagli anni '60, appaiono nella sua produzione nature morte di fiori, mentre nelle figure si percepisce l'influenza di artisti come Francis Bacon, che lo conduce ad una deformazione dei soggetti ritratti, nonché dei contesti spaziali.

Successivamente, la pittorica di Sughi può essere riassunta attraverso vari cicli dedicati a specifichi temi iconografici, che presentano determinate trasformazioni sul piano formale. Tra questi: le "pitture verdi" del 1971-73 incentrate sul rapporto uomo-natura; il ciclo "La cena" del 1975-76; la serie "Immaginazione e memoria della famiglia" a partire dagli anni '80; dal 1985 il tema "La sera", una filosofica riflessione sul proprio ruolo come artista in una società che si affida al denaro, alla politica e alla scienza. Relativamente a questi cicli l'artista dichiara: "mi interessa il viaggio, quel viaggio affrontato con diverse consapevolezze. Spero di non allontanarmi mai da quel che sono, continuare a raccogliere i segnali che vengono dalla vita e dal mondo." Sempre agli anni '80 risale l'esposizione presso la Reggia di Caserta del grande telero "Teatro d'Italia", una vera e propria allegoria del nostro Paese che riunisce personaggi di diversa estrazione sociale: dal magistrato in toga rossa in primo piano a figure della classe dirigente di quegli anni, dai parlamentari a donne, descritte nella loro altezzosità o nel loro declino, fino a due ballerini che danzano e sembrano cercarsi con lo sguardo, rappresentando l'unico anelito di vita all'interno del quadro. 

Un'opera che riassume tutta una serie di tematiche care a Sughi, quali la solitudine, l'amore, il vuoto, la decadenza sociale, palesandosi come una sorta di profezia dei giorni nostri; sullo sfondo l'immagine del Colosseo, emblema di una bellezza perduta ci rimanda oggi allo smarrimento dei valori della società contemporanea, descritti nel film "La grande bellezza" di Sorrentino. Individualismo imperante, solitudine e incomunicabilità saranno argomenti ancora presenti nelle opere degli anni 2000, appartenenti al ciclo dal titolo "Notturno", dove troviamo persone comuni, quasi prive di espressione, assorte nei loro pensieri, che rimarcano, nuovamente, l'incertezza e la caducità dell'esistenza.

La fortuna critica del Maestro passerà negli anni attraverso diverse rassegne antologiche, in Italia e all'estero, volte a celebrare la sua innata capacità di percepire le contraddizioni della propria epoca, anticipando in qualche modo problematiche future e rimarcando l'impassibilità dell'uomo contemporaneo all'interno di una società che lo ha privato della propria luce, della propria umanità.


*articolo pubblicato in "Atlante dell'Arte contemporanea", Giunti editore, 2024, pp. 458-459;

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